• Demo
    "Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Ogni uomo è un criminale senza saperlo."

    Albert Camus

  • Demo
    "È un errore enorme teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il viceversa."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Ogni cosa deve essere considerata in relazione al contesto, alle parole o ai fatti."

    William Withey Gull.

  • Demo
    "Io l'ho visto. Con gli occhi della mente si vedono molte più cose di quel che non si veda con gli occhi del corpo. Basta appoggiarsi indietro, nella poltrona, e chiudere gli occhi..."

    Hercule Poirot

  • Demo
    "A giudicare per induzione e senza la necessaria congiunzione dei fatti, si fa alle volte gran torto anche ai birbanti.

    Alessandro Manzoni

  • Demo
    "Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Abbastanza spesso il criminale non è all’altezza della sua azione: egli la immeschinisce e la calunnia."

    Friedrich Nietzsche

  • Demo
    "Non è vero che i criminali siano uomini di intelligenza limitata; probabilmente, anzi, è vero il contrario."

    Michael Crichton

  • Demo
    "Quella dell'investigazione è, o dovrebbe essere, una scienza esatta e andrebbe quindi trattata in maniera fredda e distaccata."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    "Uccidere è un crimine. Tutti gli assassini vengono puniti, a meno che uccidano in gran numero di persone e al suono delle trombe."

    Voltaire

  • Demo
    "È un errore confondere ciò che è strano con ciò che è misterioso. Spesso, il delitto più banale è il più incomprensibile proprio perché non presenta aspetti insoliti o particolari, da cui si possono trarre delle deduzioni.."

    Sherlock Holmes

  • Demo
    Non bisogna dire che un atto offende la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché offende la coscienza comune."

    Émile Durkheim

  • Demo
    "Fanno meno danno cento delinquenti che un cattivo giudice."

    Francisco de Quevedos

  • Demo
    "La vita non è altro che una lotta tra l’essere il criminale piuttosto che la vittima."

    Bertrand Russell

  • Demo
    "Il vero significato del crimine risiede nel suo essere un’infrazione alla fiducia della comunità del genere umano..."

    joseph Conrad

  • Demo
    Per prevalere, il crimine uccide l’innocenza e l’innocenza si dibatte con tutte le forze nelle mani del crimine."

    Maximilien de Robespierre

  • Demo
    "Per comprendere certi delitti basta conoscere le vittime."

    Oscar Wilde

  • Demo
    "Gli elementi che portano a risolvere i delitti che si presentano con carattere di mistero o di gratuità sono la confidenza diciamo professionale, la delazione anonima, il caso. E un po', soltanto un po', l'acutezza degli inquirenti."

    Oscar Wilde

Serial Killer attivi in Italia: Il Mostro di Modena

Viene chiamato “Mostro di Modena” il presunto serial killer che ha all’attivo otto duplici delitti avvenuti tra il 1985 e il 1995 a Modena e provincia.
La vittimologia di questo assassino si limita esclusivamente a prostitute di giovane età, tossico dipendenti. In questo caso la possibilità che alcune o tutte le ragazze uccise siano state aggredite dalla solita persona è molto alta, anche se manca una tipologia unitaria d’autore, nonostante la tipologia unitaria di vittime.

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La criminalità di Modena negli anni 70-80

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Da un articolo de “La Stampa” del 1981 è possibile avere un quadro abbastanza realistico di come si presenta il problema della criminalità nei primi anni ’80 a Modena.
Viene subito dato risalto alla notizia che Modena è seconda solo a Milano per il più alto reddito pro capite, pur non essendo propriamente una metropoli come il capoluogo lombardo, eppure questo dato statistico ha portato ad un sensibile aumento della circolazione di droga all’interno della città ed in particolar modo di eroina. L’alto numero di tir e mezzi pesanti che trafficano nella zona modenese viene ritenuto responsabile del traffico d’eroina che raggiunge la città emiliana. Del resto l’alto reddito pro capite e quindi una notevole disponibilità di denaro porta ad un conseguente aumento della domanda di stupefacenti ed in particolar modo eroina. Il numero di usufruitori assidui della città viene calcolato in circa 300 persone, ma secondo le stime della stampa locale si tratta di molte centinaia in più.
La tossicodipendenza da eroina si traduce ben presto con un vertiginoso aumento di furti e conseguentemente della microcriminalità. Il consumatore di eroina ben presto fatica a tenersi un posto di lavoro fisso, nel tempo vi è una diminuzione della disponibilità di denaro ed è facile che il tossicodipendente passi ai piccoli furti per ottenere i soldi per la dose giornaliera. Prima i furti avvengono all’interno delle mura domestiche e tante volte non sono nemmeno denunciati, dopo si passa a veri i propri atti di microcriminalità, scippi, piccole rapine e furti. Chi non delinque, ma vuole comunque non farsi mancare l’eroina, vende il proprio corpo per strada in modo da racimolare qualche soldo in più per acquistare la droga.

In questo triste scenario si inserisce la storia del mostro di Modena…

 

Giovanna Marchetti 19 anni, 21 agosto 1985   Giovanna Marchetti 21 agosto 1995

 Il corpo della diciannovenne Giovanna Marchetti viene rinvenuto la mattina del 21 agosto 1985, all’interno di una fornace abbandonata di Baggiovara a pochi chilometri da Modena. La Marchetti presenta una lesione da corpo contundente al capo che le ha fracassato il cranio, accanto al corpo, un mattone, l’arma del delitto. Il cadavere presenta inoltre alcune ferite al volto, ed è completamente sfigurato, pur non conoscendo l’esatta entità delle ferite è comunque facile presupporre si possa trattare di overkilling.

Al collo la Marchetti ha segni di strangolamento, che fanno presupporre che prima di colpirla con un mattone, l’assassino abbia tentato di soffocarla con un laccio.
Giovanna Marchetti esercita il mestiere di prostituta per necessità, da un po’ di tempo infatti è finita nel tunnel dell’eroina e per poter assicurarsi il denaro necessario per la dose giornaliera è costretta a vendere il proprio corpo. E’ scappata da casa 10 giorni prima, quella sera si è sicuramente appartata con un cliente incontrato in strada.


Le indagini sul delitto di Giovanna Marchetti

A seguito del delitto prendono piede le indagini che si prolungano per 6 mesi. Purtroppo la partenza non è delle più veloci e per dare un nome a quel corpo ci vogliono tre giorni, l'identificazione avviene grazie ad alcuni vestiti ritrovati non lontano dal cadavere. Le attenzioni degli inquirenti si concentrano su un agricoltore della provincia di Reggio, Ennio Cantergiani di 45 anni, l’uomo è arrestato il 12 novembre. Contro di lui la testimonianza della persona ritenuta in quel momento “supertestimone”, il fidanzato della vittima. Ha raccontato alla Polizia che la sua ragazza è salita su una Ford di colore scuro, targata Reggio Emilia. Il Procuratore di Modena Giuseppe Tibis firma l'ordine di cattura, ma Cantergiani si professa fin da subito, innocente. Sconta tre mesi di carcere e poi in istruttoria è ritenuto innocente per mancanza d'indizi. Pochi giorni dopo la scarcerazione, la Procura spicca un nuovo mandato di cattura, questa volta per il “supertestimone”, fidanzato della vittima, Giuseppe Volpe 25 anni, nato ad Ajaccio in Corsica, ma residente da tempo a Sassuolo e anche lui, tossicodipendente, è il 22 febbraio. Alcuni testimoni hanno dichiarato che Giovanna negli ultimi tempi è intenzionata a lasciarlo e il 14 agosto, al culmine di un litigio, il Volpi aggredisce la fidanzata. Nel momento in cui viene inviato il mandato di cattura, il sospettato si trova già in carcere a Pavullo da un mese, per scontare una pena per calunnia. Nel momento in cui riceve il mandato di arresto riusce ad evadere dalla struttura, è stato visto intorno alle 22 e alla conta delle 23, il Volpi non è più presente. Sembra apparentemente un'ammissione di responsabilità, ma non è così'. Meno di una settimana dopo si costituisce presentandosi con il suo avvocato per dimostrare la sua innocenza. Dopo alcuni accertamenti viene rilasciato.

Il volto da bambina di Giovanna inizialmente sconvolge l’opinione pubblica e le forze dell’ordine sotto questa spinta emotiva indagano febbrilmente, ma senza ottenere alcun risultato. Ben presto però la città dimentica e anche gli inquirenti abbandonano. Il delitto di Giovanna Marchetti diventa un triste incidente isolato che può capitare a chi si inserisce in un giro a rischio.

Donatella Guerra 22 anni, 12 settembre 1987   Donatella Guerra 12 settembre 1987

Due anni dopo il delitto di Giovanna Marchetti si ha un primo inquietante presagio che la sua morte forse, non è stato “un incidente isolato”. Viene rinvenuto il cadavere di una ragazza alle ore 7 del 12 settembre 1987, dal guardiano di una cava ubicata ai laghetti di San Damasio, il cadavere di Donatella Guerra presenta due ferita da punta, una alla gola e una al cuore. Secondo le ricostruzioni del delitto, l’assassino ha colpito Donatella da tergo e da alcuni appunti di stampa, si apprende che questo sarà una costante nei successivi delitti del presunto serial killer. Ma non solo quello, manca anche la borsetta della vittima e anche questo particolare è un dettaglio che si ripeterà. L’arma utilizzata per l’omicidio sembra compatibile con un coltello da macellaio, anche se da alcune fonti, sembra più un punteruolo. Il medico legale stabilisce che il delitto è da datare tra le sette e le otto ore prima del ritrovamento, quindi intorno alla mezzanotte e l’aggressione è avvenuta in un altro luogo.

Donatella Guerra esercita la professione ed è tossicodipendente, cerca i suoi clienti in strada assieme ad alcune sue colleghe che forse possono aver visto qualcosa, tra queste vi è anche Marina Balboni in piazza Roma la sera del 12 settembre 1987.


Le indagini sul delitto di Donatella Guerra   

Incredibilmente le indagini degli inquirenti su questo delitto si spengono appena 40 giorni dopo, nonostante inizialmente siano stati riscontrati dati interessanti. Nel luogo del ritrovamento del cadavere viene accertata e isolata l’impronta di una scarpa, non è in nostro possesso nessuna immagine e nessun dato in più. Accanto al cadavere vi è un’altra traccia, quella di uno pneumatico di un’autovettura e su questo elemento le indagini proseguono e viene accertato che tale pneumatico è montato di serie esclusivamente su autovetture Fiat 131.
Un altro dato importante ci giunge dalla perizia medico legale effettuata, secondo i medici dall’angolazione delle ferite riscontrate sul collo si può determinare che l’assassino è mancino.

Marina Balboni 21 anni, 1 novembre 1987   Marina Balboni 1 novembre 1987

Non passano nemmeno due mesi, ma soltanto 50 giorni, per capire che le coincidenze iniziano ad essere troppe. E’ il 1 novembre quando viene rinvenuto il cadavere di Marina Balboni, si trova a Gargallo in provincia di Carpi sul ciglio della strada che collega le due località. La ragazza è stata strangolata con la sua sciarpa che ancora indossa al collo, l’assassino anche in questo caso l’ha colta alle spalle. Questi dati sono desunti dalla perizia medico legale del Professor Giovanni Beduschi.

Marina Balboni di 21 anni vive con i genitori a Cittanova, un paesino della provincia modenese, da diversi anni è dedita all'uso di eroina. Negli ultimi tempi ha tentato di disintossicarsi: ha soggiornato in un centro per il recupero dei tossicodipendenti e ha anche trovato un lavoro. Ma probabilmente nei giorni precedenti la sua morte ha ricominciato a far uso di stupefacenti, come fanno supporre i fori che le sono stati scoperti nelle braccia.


Le indagini sul delitto di Marina Balboni

La distanza temporale tra i due delitti allerta gli inquirenti che fin da subito mettono in relazione il caso Donatella Guerra e Marina Balboni, la strada percorsa nelle indagini è quella della tossicodipendenza che accomuna entrambe le vittime. Eppure le due ragazze frequentano la stessa zona di prostituzione e sicuramente si conoscono. Marina Balboni la sera in cui è stata uccisa Donatella, si sta prostituendo accanto a lei in piazza Roma.
E’ possibile che abbia visto l’autovettura e l’assassino che ha caricato Donatella? Potrebbe essere quello il motivo della sua morte? Qualcuno ha evitato che parlasse? Sembra una pista che non viene tenuta in considerazione dagli inquirenti, tanto che non vengono neanche sequestrati i diari che Marina, ogni sera, scrive raccontando la sua vita. La notte della sua morte nel proprio diario ha annotato un appuntamento con una persona importante. I genitori ricordano che la ragazza insiste per uscire e se ne andò nonostante il loro parere contrario.

Cerchiamo di approfondire e ricavare alcune considerazioni su questi dati raccolti, prendiamo per buona l’ipotesi che il killer delle due ragazze sia il solito e che le motivazioni che l’hanno portato ad uccidere Marina Balboni sia perché Donatella è stata vista salire sulla sua autovettura.

Donatella la sera del 12 settembre si trova in piazza Roma nel centro di Modena in cerca di clienti, in un orario imprecisato sale sull’autovettura di una persona e sparisce fino al mattino dopo. Il cadavere viene rinvenuto nelle cave di San Damasio, ad una distanza da piazza Roma di 9 km circa, ed un tempo di percorrenza di 20 minuti. Nel calcolo della distanza e del tempo di percorrenza abbiamo ipotizzato che l’autovettura in cui entrò Donatella non abbia percorso la statale ma le vie interne della città. Naturalmente non siamo in grado di determinare a quale punto del percorso l’assassino abbia accoltellato la sua vittima, potrebbe averlo fatto anche nella sua macchina alle cave di Damasio. Indipendentemente da questo dato, che non possiamo desumere, sappiamo però che ha deciso di abbandonare il cadavere alle cave di Damasio, quindi deve aver percorso quella strada. Raggiunte le cave ha estratto il corpo dalla macchina e l’ha abbandonato appena fuori dall’autovettura, lasciando le tracce precedentemente descritte. Il terreno di una cava è solitamente sabbioso e le orme devono essere rimaste più impresse.

Per Marina Balboni le cose possono essere andate differentemente, dato che nei suoi diari ha un appuntamento con una “persona importante”. Noi sappiamo che abita a Cittanova con i genitori e che fra l’altro, quella sera, l’hanno sconsigliata di uscire. Il suo appuntamento è troppo importante per mancare, sapendo della sua ricaduta nel vizio dell’eroina, è facile ipotizzare quali sono i suoi obiettivi.
E’ possibile che il killer la aspettasse in centro a Modena?
Se è solita prostituirsi a piazza Roma e il killer ha eletto come terreno di caccia proprio il centro di Modena, è ragionevole pensare che i due si possano essere incontrati lì. Come ho accennato prima però, questo delitto sembra molto differente dall’altro, proprio perché pare ci sia un contatto pregresso con l’assassino, sempre che la persona importante che Marina deve vedere, sia colui che l’ha uccisa. Allora se ci troviamo di fronte ad un delitto premeditato, è possibile che il killer non voglia farsi notare con una vittima in auto, specialmente se è già stato visto da Marina far salire sulla propria macchina Donatella. A quel punto una volta ottenuta la fiducia della Balboni (immaginiamo sia semplice, considerando che è tossicodipendente) non rimane altro che incontrarsi in periferia, magari vicino a Cittanova. Il cadavere di Marina è rinvenuto sulla Strada Provinciale 13 che collega Gargallo a Carpi (purtroppo non sappiamo da che parte della carreggiata). Per andare da Cittanova a Carpi ci sono 23 km, una distanza percorribile in 30 minuti, per raggiungere Carpi si passa da Gargallo e dall’ SP13 dove è ritrovato il cadavere. Anche in questo caso non si sa con precisione in che punto della strada sia avvenuto il delitto ma sappiamo che l’assassino ha percorso quella strada, una strada fatta di campi e che non incrocia molti centri abitati.

Una volta individuata geograficamente l’area di spostamento dell’aggressore occorre farci alcune domande sull’ipotesi iniziale che abbiamo preso per vera:
La morte di Marina è dovuta al fatto che ha riconosciuto l’assassino di Donatella?

Se veramente Marina ha visto la persona che ha fatto salire Donatella, perché non l’ha denunciata alla polizia?

Con tutta probabilità questa storia ruota intorno al giro di eroina in cui sono invischiate le vittime, di conseguenza le indagini non erano orientate male. Se l’assassino della Guerra è uno spacciatore, Marina avrebbe desistito nel denunciarlo. Magari avrebbe ottenuto di più ricattandolo, ed ecco un certo collegamento con la “persona importante” che deve vedere la sera del delitto.
Si tratta di un'ipotesi che è molto al di là dall’essere verificata, tutt’altro, però se pensiamo che l’ambiente in cui sono avvenuti questi fatti, giochi un ruolo fondamentale, allora l’idea prende corpo maggiormente. Marina ricatta l’assassino di Donatella e gli estorce l’eroina, poiché si tratta di uno spacciatore. Il killer inizialmente cede ai ricatti e fa si che la ragazza si fidi di lui, di fronte all’ultimo ricatto, dopo averle ceduto e fatto assumere la droga, la strangola con la sua sciarpa scaricandola sulla SP13.

Se abbiamo ipotizzato un collegamento tra i delitti Guerra-Balboni, ancora non ne abbiamo trovati con quello di Giovanna Marchetti, ma già nel 1987 i giornalisti hanno messo in relazione tutti e tre i casi.

Claudia Santachiara 24 anni, 30 maggio 1989   Claudia Santachiara 30 maggio 1989

Passano due anni, il ricordo dei modenesi è lento a destarsi, ma il 30 maggio 1989 è costretto a farlo nuovamente. A Panzano, frazione di Campogalliano, dove inizia l'autostrada del Brennero, un pensionato rinviene il cadavere di Claudia Santachiara.

La ragazza è si trova supina in un fosso, è completamente nuda tranne che per i collant strappati e degli stivaletti ai piedi, ha ancora intorno al collo il laccio utilizzato dall’assassino per strangolarla.
Secondo la ricostruzione del delitto, il killer ha operato da dietro lo strangolamento, come già è capitato con alcune vittime, con molta probabilità ha agito dopo o durante l’amplesso. Sul corpo della giovane ci sono segni di lotta, prima di soccombere al suo aggressore ha cercato di opporre resistenza.

Claudia Santachiara vive con i genitori e la sorella Paola a Savignano sul Panaro, la famiglia sa che Claudia è dedita all'uso di eroina ma purtroppo non è riuscita a sottrarre la giovane dalla dipendenza, tanto che negli ultimi tempi ha iniziato a prostituirsi.


Le indagini sul delitto di Claudia Santachiara

Appena due settimane dopo il delitto gli inquirenti hanno alcuni sospetti, un operaio di nome Tommaso Nunzio Caliò di quarant'anni viene arrestato dalla Squadra Mobile, è martedì 13 giugno. Il venerdì precedente all'arresto Caliò ha tentato di strangolare una prostituta di 27 anni con la quale ha appena avuto un rapporto sessuale. Durante la perquisizione della sua abitazione viene sequestrato materiale pornografico e biancheria intima femminile. Caliò sembra essere il colpevole perfetto, poiché è da tempo seguito dal Servizio di igiene mentale e dal reparto psichiatria dell'Usl di Modena. Eppure anche lui viene scarcerato ed è accertato che con i delitti non ha niente a che fare. La pista sfumata fa naufragare nuovamente le indagini.

Fabiana Zuccarini, 8 marzo 1990   Fabiana Zuccarini 8 marzo 1990

Nel mentre la paura del serial killer si fa certezza, un ragazzino rinviene la quinta vittima, Fabiana Zuccarini si trova in un fosso a Staggia di San Prospero, è bocconi, con indosso ancora gli indumenti del giorno precedente, un giacchetto di jeans, una gonna e una maglietta, ma è scalza, senza scarpe né calze. Al collo ha vistosi segni di strangolamento, sono numerosi anche i fori di siringhe riscontrati sul braccio.

Grazie ad un tatuaggio di una stellina, le Forze dell’Ordine riescono a dare un nome al corpo. Fabiana Zuccarini ha 22 anni ed è originaria di Pavullo, è risaputo il fatto che fosse tossicodipendente, ma non risulta che si prostituisse.

Le indagini sul delitto di Fabiana Zuccarini

Nonostante il quinto delitto e le analogie presentate tra i vari omicidi, il pubblico ministero di turno non si presenta nemmeno sul luogo e lascia che le indagini siano sbrigate dalla sola Polizia giudiziaria, il corpo è stato spostato quasi subito senza le opportune verifiche del caso. Nel fosso viene raccolto un mozzicone di sigaretta e repertato, ma non si saprà mai se era stata fumata dall’assassino. Secondo la ricostruzione delle ultime ore di vita di Fabiana, sembra che la ragazza sia entrata in un bar di San Felice sul Panaro ed abbia scambiato alcune parole con un elettricista del posto, poi è uscita ed è riapparsa cadavere il giorno successivo. Chiaramente il dialogo avuto prima di morire con questo elettricista diventa il nodo centrale delle indagini, il soggetto viene interrogato e di fronte all’opinione pubblica, additato come maniaco, finirà in carcere, ma poco dopo verrà rimesso in libertà. Morirà in un incidente stradale.
Anche i genitori di Fabiana tentano la carta degli investigatori privati, Ermanno Zuccarini, il padre, incontra gli amici della figlia per cercare di sollevare il velo di mistero che avvolge il delitto. Arriverà addirittura ad offrire una taglia di cento milioni a chi gli fornisse indicazioni sul responsabile. Nessuno di questi espedienti ha seguito. Eppure il numero di ragazze tossicodipendenti uccise incomincia a dare nell’occhio agli organi inquirenti, i casi non vengono mai accostati nonostante le analogie, ogni delitto viene trattato a se, senza cercare alcun tipo di collegamento. Non viene istituita una task force anti mostro, solo i titoli nei giornali risuonano delle parole “serial killer”, ma le orecchie della Polizia sono sorde agli avvertimenti della stampa e le indagini vengono condotte in modo tradizionale. Eppure la situazione storica e sociale in cui avviene questa vicenda deve far riflettere perché sicuramente ha influenzato le indagini irrimediabilmente. In quegli anni a Modena erano numerose le morti di ragazzi per overdose di eroina, la droga spacciata veniva tagliata con sostanze talvolta pericolose, veleno per topi, lattosio, calce. I ragazzi morivano per molti motivi, ma sempre legati all’uso dell’eroina, anche l’omicidio legato a questo genere di ambienti era frequente.

Anna Abbruzzese, 4 febbraio 1992   Anna Abbruzzese 4 febbraio 1992

La mattina del 4 febbraio 1992 un contadino di San Martino Secchia, nei pressi di San Prospero, sta costeggiando una carraia con il suo trattore, scorge una figura scura distesa. E’ una donna, ha pantaloni e maglia scura, sono evidenti immediatamente i segni di sei coltellate al ventre e altri alle mani, evidentemente la ragazza ha tentato di difendersi. Secondo le indagini del medico legale il delitto non può essere avvenuto nel luogo del rinvenimento del corpo, è stata uccisa da un’altra parte e poi abbandonata in una strada isolata.


Il giorno successivo il 5 febbraio il cadavere ha un nome, Anna Abbruzzese 32 anni, è la più “vecchia” delle vittime. E’ nata a Nocera Inferiore in provincia di Salerno, ma è residente a Castel Maggiore, nei pressi di Bologna. La realtà dei fatti però è ancora più drammatica, testimoni dicono che già da alcuni mesi vive in auto, una vecchia Alfa, assieme al fidanzato, tossicomane anche lui. Anna è una giovane donna molto alta, la droga l’ha ridotta a pelle e ossa, si prostituisce nella zona della stazione di Modena, ed è possibile che proprio in quel punto l’assassino l’abbia incontrata.


Le indagini sul delitto di Anna Abbruzzese

Come al solito le somiglianze dei delitti sono evidenti, la ragazza è stata accoltellata nello stesso modo in cui è stata uccisa Donatella Guerra, ed anche in questa occasione viene sottratta la borsetta e i documenti. Purtroppo di questo delitto abbiamo pochissime informazioni, la stampa si limita a dire che in poche settimane il caso è finito in archivio.

Annamaria Palermo, 26 gennaio 1994   Annamaria Palermo 26 gennaio 1994

Il settimo cadavere viene rinvenuto dopo alcuni giorni dalla scomparsa, un pensionato nel mentre sta coltivando il proprio orto si accorge del cadavere di una donna in un canale di un cavalcavia lungo l’autostrada del Sole. Il corpo è stato rosicchiato dai topi ed è in avanzato stato di decomposizione. Indossa una maglia e un paio di pantaloni allacciati, non molto lontano si trova il giubbotto e la borsetta con dentro i documenti. Questo dettaglio sorprende gli investigatori perché in tutti gli altri delitti la borsetta e i documenti sono spariti.

Il medico legale non ci mette molto a stabilire le cause della morte, dodici coltellate al cuore, inferte qualche giorno prima del rinvenimento.

Anna Maria Palermo è scomparsa da casa a Fossoli il 18 gennaio, due giorni dopo i famigliari hanno fatto denuncia di scomparsa al commissariato di Carpi. Vive prostituendosi Anna Maria, batte nella zona della stazione o nel parco delle Rimembranze.
Ancora una volta salta agli occhi il luogo che, con tutta probabilità, è diventato terreno di caccia di un serial killer, la zona della stazione dove numerose ragazze di giovane età vendono il proprio corpo e dove è facile rimediare contemporaneamente una dose di eroina.


Le indagini sul delitto di Annamaria Palermo

Nell’occasione di questo delitto salta fuori una pista interessante che vale la pena di approfondire, da un’intervista avvenuta a marzo 1994 al programma Mixer, Don Giancarlo Suffritti, responsabile di una comunità di recupero fa le seguenti dichiarazioni:

“In comunità ho avuto una ragazza che mi ha detto che, in una sua esperienza con un uomo, con un cliente occasionale, dovette dare la prestazione sotto la minaccia di un coltello. Dopo quattro o cinque mesi la stessa ragazza si ritrova con un individuo, con una macchina targata Reggio Emilia. Parlano, discutono e ha la sensazione di riconoscere già la voce. Avendo avvertito che la voce era la stessa, al primo semaforo rosso lei si butta giù dalla macchina, terrorizzata di essere finita di nuovo nella vettura con colui che in giro si stava dicendo che facesse giustizia tra le tossicodipendenti.”

Ma il prete non si ferma qui e sembra un fiume in piena, tanto che si ha quasi la percezione che abbia conosciuto l’autore dei delitti;

“Io sono convinto che sia un personaggio con un’intelligenza non comune, un senso purificatore, un elemento che vuole sanare la società. Accosta queste ragazze, con loro si permette quello che nella sua coscienza ha sempre vissuto come peccato, come male. Quindi c’è una grossa educazione proibitiva, da parte di questo elemento, che a un certo punto sfoga questo suo senso religioso, purificatore, sulle ragazze uccidendole. Quasi quasi che nel sacrificio, nella loro immolazione, c’è la loro purificazione e ritornano in braccio a Dio. Questo concetto io l’ho già sentito fare da più persone, in città. E direi di averlo sentito anche proprio dall’individuo che in questo momento, ovviamente, ho in testa.”

Alcuni giorni dopo Don Giancarlo Suffritti è di fronte al pubblico ministero Marinella De Simone che raccoglie la sua testimonianza, con nome e cognome della persona ospite della comunità che ha esternato queste dichiarazioni. Da quel momento in poi, forse consigliato dal pubblico ministero o forse perché è stato minacciato e teme l’incolumità dei suoi ragazzi, Don Suffritti non rilascia più alcuna intervista. Le ricerche non approdano a niente.

Calssificazione dei serial killer in base al movente

E’ interessante notare che le dichiarazioni di Don Giancarlo Suffritti coincidono con un profilo particolare di serial killer secondo la classificazione individuata da Holmes & De Burger (1988 Serial Murder, Sage, Newbury Park), la seguente traduzione inserita nel volume “Serial killer in Italia” di Paolo De Pasquali:

1) Visionary serial killer (allucinato) uccide in serie perché guidato da allucinazioni (voci imperative, messaggi telepatici, ordini da demoni) o per deliri persecutori o mistici o di grandezza;

2) Hedonistic (edonista) uccide per il gusto di uccidere, per l’emozione, il piacere, la gratificazione che gli provoca uccidere un essere umano.
Vengono suddivisi in tre sottogruppi:

  1. Thrill killer (omicida in cerca del brivido), uccide per l’esperienza del thrill, ossia per il fremito provocato dal’atto, spesso di natura sessuale;

  2. Lust serial killer (orientato al piacere sessuale), per il quale l’omicidio riveste valore di gratificazione sessuale, in quanto deve giungere ad uccidere per ottenere l’orgasmo. Sono omicidi commessi in modo sadico e brutale;

  3. Comfort killer (omicida per tornaconto personale), uccide per il guadagno economico, per la gratificazione finanziaria;

3) Mission serial killer (missionario),uccide per motivazioni morali: le vittime possono essere prostitute, omosessuali, negri, barboni, drogati, ossia quelle categorie di persone che considera <<feccia>> da cui ripulire il mondo;

4) Power/control serial killer (orientato al controllo e al dominio della vittima), è un assassino dalla personalità debole e a bassa autostima che uccide per il desiderio di totale dominio sull’altro, per avere il potere di vita e di morte.

E’ semplice da individuare che il profilo indicato dal Don Suffritti è il numero 2), quello chiamato Mission serial killer. A prima vista nel nostro caso la vittimologia appartiene a due delle categorie elencate, quella della prostituta e quella della drogata. In realtà se analizziamo bene, notiamo che tra le varie vittime esiste un’eccezione, Fabiana Zuccarini che secondo le indagini non pratica il mestiere della prostituta. Allora forse la scelta delle prostitute è dovuta alla facilità con cui riesce a reperire le vittime, ma la vera caratteristica che interessa al killer è che siano tossicodipendenti da eroina.

Paolo de Pasquali nel suo libro “Serial killer in Italia” ripropone una nuova classificazione risultato della sua ricerca dei serial killer che hanno colpito in Italia, è molto interessante presentarla sia da un punto di vista didattico, ma anche perché è più aderente al profilo del possibile “Mostro di Modena”. I serial killer possono essere considerati come un fenomeno sociale che può avere significative differenze a seconda del paese in cui avvengono i delitti e si muove il colpevole.
Per ciascuno dei 43 serial killer italiani studiati da Paolo De Pasquali, è stato analizzato ogni singolo delitto per determinarne il movente che l’ha originato, riportiamo la classificazione:

  1. Omicidio per futili motivi o per divertimento, nei quali il serial killer uccide, ad esempio, per guadagni economici irrisori (F.P.); oppure per affermazione di coraggio e identità (Cianci); oppure per provare l’efficienza di un’arma in una sorta di estremismo paramilitare (Candela), o ancora per vincere la noiae per il <<divertimento>> di sparare a bersagli umani (Fuschi).

  2. Omicidi motivati da sentimenti ostili, quali odio, vendetta, rivalsa, invidia, gelosia. Tali sentimenti possono essere rivolti genericamente contro la società, da cui l’assassino ritiene di aver subito gravi torti (Gamper), oppure indirizzarsi verso una specifica persona, che può aver provocato o meno l’omicida (…); comunque in tali circostanze il delitto è sempre assolutamente sproporzionato alla eventuale provocazione. Questi serial killer possono uccidere per difendere la propria reputazione o per punire presunti <<sgarri>> (Bilancia, Concardi), ossia per vendetta. (…)

  3. Omicidi situazionali, sono quelli in cui il serial killer uccide per eliminare un ostacolo o per autoconservazione, ossia per non farsi riconoscere e catturare (Vizzardelli, Bilancia, i Gargiulo) (…)

  4. Omicidi per guadagno economico. Numerosi omicidi compiuti dai serial killer sono apparentemente motivati da un torna conto economico; Ma diversamente dai comuni omicidi con tale movente, quelli commessi dagli assassini seriali hanno anche un’ulteriore ragione di essere nel piacere che tali soggetti provano nell’uccidere (…)

  5. Omicidi per pulizia morale, compiuti da un soggetto che individua una categoria di persone da eliminare in quanto <<indesiderabili>>, a suo personale giudizio. I serial killer si autoinveste della missione di liberare il mondo da tali soggetti, ritenuti indegni di vivere. Le vittime possono essere le più varie e rispondono ad una precisa tipologia. Appartengono per certi versi a siffatta categoria anche colore che vogliono eliminare le prostitute, benché spesso alla base di tali omicidi vi sono problemi di identità psicosessuale. Nel nostro paese, oltre al già ricordato Gamper, nemico degli italiani, un perfetto esempio di <<missionario>> è rappresentato dalla coppia Abel & Furlan. Che volevano punire omosessuali, prostitute, barboni, drogati, ossia la <<schiuma>> della società.

  6. Omicidi per il controllo del potere. Spesso dalla base degli omicidi seriali vi è la ricerca del controllo del potere: questo accade per i <<missionari>>, per tutti gli omicidi seriali sadici, per molti <<omicidi per libidine>>, ecc. In alcuni casi però gli omicidi sono proprio determinati dalla volontà e necessità di esercitare un completo controllo di dominio sulla vittima prescelta. Il serial killer gode per il senso di onnipotenza che gli dà lo stabilire quando dare la morte alla vittima prescelta. (…)

  7. Omicidi per motivazioni psicopatologiche. (…) Di frequente gli assassini seriali hanno ucciso proprio perché indotti dalla loro patologia mentale, che a volte è più di una. (…)

  8. Omicidi a sfondo sessuale. Vengono commessi dal serial killer che cerca, nell’omicidio, una gratificazione di tipo sessuale. In cui la soddisfazione derivante dall’atto omicida è connessa con quella di natura sessuale esplicandosi in una coazione sessuale-omicidiaria che egli non è in grado di arrestare.
    (…)
    Abbiamo due tipologie di omicidi a connotazione più o meno sessuale: l’omicidio per libidine (che include anche la pedofilia omicida) e l’omicidio necromanico. Nell’omicidio per libidine il serial killer ha un interesse sessuale per la vittima viva e poi la uccide per trarne piacere sessuale (Giudice, Bergamo, Giugliano). Nella pedofilia omicida valo lo stesso discorso ma la vittima è un bambino (Chiatti, E. Gargiulo). Nell’omicidio necromanico il serial killer è interessato al vivo solo per renderlo immediatamente morto e trae piacere (non solo e non necessariamente erotico) dal cadavere (Boggia, Serviatti Cianciulli, Matteucci, Bilancia, Mario Gargiulo). Alcuni assassini seriali compendiano entrambe le tipologie di omicidio per libidine-necromanico, in quanto il piacere sessuale inizia con la vittima viva, si mantiene con l’atto omicidiario e si prolunga col cadavere (Verzeni, Minghella, Savini, Stevanin, Belloli). (…)

Per una maggiore comprensione del testo e uno studio più approfondito dei serial killer italiani, consultare il libro Paolo De Pasquali (2001). Serial killer in Italia. Un’analisi psicologica, criminologica e psichiatrico-forense. FrancoAngeli.
Il punto 5) Omicidi per pulizia morale è quello che più si avvicina al possibile Mostro di Modena.

Proseguono le indagini sul delitto di Annamaria Palermo

Le indagini sul delitto di Annamaria Palermo proseguono e due anni dopo l’omicidio, nel 1996 l’inchiesta ha un nuovo slancio sotto la direzione del Pubblico Ministero Andrea Claudani. I Carabinieri hanno individuato un soggetto molto particolare, il suo nome è Alessandro Tripi 46 anni, figlio di buona famiglia, nato a Tolentino, residente a Modena, dove comunque si fa vedere solo saltuariamente. Di lavoro il Tripi è medico chirurgo, ma da un po’ di tempo non esercita la professione perché, dicono in città, non sta bene (?).

Il Pubblico Ministero ordina una perquisizione della casa dell’accusato, anche se per il momento l’accusa dell’omicidio di Annamaria Palermo rimane contro ignoti. La speranza è quella di trovare indizi che leghino il Tripi con le prostitute uccise in quegli anni. In particolare i Carabinieri si concentrano nella ricerca di agende telefoniche, foto o video nei quali potrebbero apparire le vittime o altri soggetti nei confronti dei quali sono in corso accertamenti, appunti, armi, documenti. Le Forze dell’Ordine se ne vanno con un discreto malloppo che consiste in 205 videocassette, 7 agende, 2 rubriche, 17 negativi, 14 foto, 234 istantanee. Buona parte è materiale pornografico.

"Ma quello che si compra in edicola – si difende il Tripi – e poi perché proprio quelle in un sacco di riviste che tenevo in una casa dove non abito più e uso come magazzino?”

Come sono arrivate i Carabinieri ad individuare il nome di Alessandro Tripi?

Attraverso una segnalazione di un vicino di casa che lamenta infiltrazioni d’acqua dall’appartamento sito al quinto piano di un condominio adiacente alla stazione ferroviaria, di proprietà di Alessandro Tripi. All’arrivo delle Forze dell’Ordine l’inquilino non è presente e quindi si procede all’apertura forzata della porta d’ingresso. All’interno dell’appartamento c'è così tanta roba da impedire quasi i movimenti al personale operante. La faccenda viene segnalata, ed a seguito di ciò scatta la perquisizione.

Si tratta di indizi deboli, il Tripi continua a difendersi:

“Io Anna Maria Palermo l'ho sentita nominare solo quando ho visto il mandato di perquisizione".

Ben presto il medico chirurgo Alessandro Tripi viene scarcerato e le indagini su di lui abbandonate.

Ma le indagini portano ad un’ulteriore svolta, il 19 luglio 1996 i fatti si concretizzano e viene consegnato al carcere dell’Asinara un ordine di custodia cautelare per omicidio volontario nei confronti di Giuseppe Poli 54 anni, di Santa Maria Codifiume, in provincia di Ferrara. Poli ha il passato di uno sportivo, anche se non viene ricordato per le sue vittorie, è un ciclista professionista e nel 1968 vinse la maglia nera al Giro d’Italia. Una pessima prestazione che gli regalò molta notorietà a quel tempo e la fama di sciupa femmine. Il capo di imputazione individuato dal PM nel delitto di Annamaria Palermo, trova un giustificato movente nel furto di un grosso quantitativo di eroina che la ragazza avrebbe rubato a Poli, che si sarebbe a sua volta vendicato dello sgarro uccidendola.

Quali sono gli indizi che incastrano Giuseppe Poli?

  • Una collega di Annamaria Palermo che si prostituisce vicino al cinema “Principe” in piazza Natale Bruni (a 300m dalla stazione di Modena), dice di aver notato la ragazza nel mentre sale a bordo di un’autovettura Volvo i cui primi numeri di targa erano PR. Giuseppe Poli ha in uso un’autovettura dello stesso modello avvistato e con le stesse lettere iniziali della targa. Nelle fonti giornalistiche non è citato il giorno preciso dell’avvistamento, ma si dice che la testimone è una delle ultime persone ad aver visto la vittima in vita.

  • Un altro testimone dice di aver notato Annamaria Palermo il giorno precedente al delitto, a bordo di un’auto guidata dal Poli. Un particolare inquieta gli inquirenti, ovvero la Palermo viene notata con una pettinatura particolare, con i capelli tirati indietro che non è solita portare. Il giorno in cui viene ritrovato il suo corpo, verrà accertato che la ragazza porta i capelli tirati indietro.

  • Quella stessa sera il Poli viene notato in un ristorante con un amico fidato, la moglie e una ragazza, che dalla descrizione, gli inquirenti ritengono sia Annamaria Palermo.

  • Un testimone racconta una confidenza fatta dalla stessa Annamaria Palermo prima di venire uccisa, in cui parla del furto di droga ai danni di Poli. E’ accertato che lo stesso Poli nei giorni precedenti all’omicidio è alla disperata ricerca di Annamaria Palermo, tanto da rivolgersi al testimone per trovarla e intimandogli di dirgli dove si nasconde “se non voleva finire male”.

  • Giuseppe Poli dichiara che la sera del delitto ha un alibi, si trova assieme ad una prostituta ed hanno partecipato ad una scambio di coppie. Le indagini però smontano l’alibi.

Le prove rimangono indiziarie e ufficialmente il delitto di Annamaria Palermo ancora oggi viene considerato nella lunga scia di morti attribuiti al così detto Mostro di Modena. Rispetto agli altri omicidi, quello di Annamaria Palermo risulta avere delle differenze significative:

  • Viene rinvenuta la borsetta della vittima, invece in tutti gli altri delitti precedenti la borsetta delle vittime è sparita.

  • Le modalità di aggressione non ricordano quelle delle precedenti vittime, gli inquirenti tendono ad escludere che Annamaria Palermo si sia appartata con il suo carnefice, cosa che è sempre accaduta negli altri delitti.

Il 4 giugno 1998 il G.I.P. di Modena lo rinvia a giudizio. Il processo ha inizio il 9 novembre dello stesso anno. Il 29 marzo 1999 Giuseppe Poli viene assolto <<per non aver commesso il fatto>>.

Monica Abate, 2-3 gennaio 1995   Moica Abate 2 3 gennaio 1995

Torna la psicosi del “Mostro di Modena”, i delitti delle prostitute non si arrestano e la nuova vittima è Monica Abate 32 anni, prostituta tossico dipendente, ritrovata morta, in un appartamento di sua proprietà in via di Rua Freda, nuda, con una siringa conficcata nel braccio. Al rinvenimento del cadavere il medico di famiglia, chiamato a constatare il decesso, scrive che la morte è causata da <<arresto cardiaco da attribuire a probabile overdose>>. E’ il 3 gennaio 1995.
Il corpo viene trasferito all’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Modena e viene disposta l’autopsia, come è di routine in caso di morte per overdose. Il medico legale che stila il rapporto autoptico è il Professor De Fazio (noto criminologo modenese che ha indagato anche sui delitti del così detto “Mostro di Firenze”) , le sue conclusioni differiscono da quelle del medico di famiglia, Monica Abate è stata <<uccisa , soffocata con una mano tenuta premuta sulla bocca e sul naso>>. Il medico legale evidenzia anche lesioni alle braccia da difesa e reperta frammenti di pelle sotto le unghie della vittima.

Il ritrovamento del corpo avviene il giorno 3 gennaio 1995, la coinquilina della vittima, Laura Bernardi, contatta telefonicamente le madre di Monica, Romana Caselli. Le due donne entrano nell’appartamento, la porta è chiusa e la ragazza non risponde. Rinvengono il corpo disteso sul pavimento della camera da letto. Con tutta probabilità lo strangolamento è avvenuto sopra il letto, poi l’assassino ha spostato il corpo della giovane trascinandola sul pavimento e le ha conficcato una siringa nel braccio, creando un vero e proprio “staging”.


Le indagini sul delitto di Monica Abate

La scoperta del Professor De Fazio durante la perizia autoptica ha fatto si che le indagini si orientino per il reato di omicidio volontario. Le Forze dell’Ordine ritornano sul luogo del delitto per effettuare tutti i rilievi di rito:

  • Sul pianerottolo vicino alla porta viene analizzata una macchia di sangue.

  • Viene sequestrato e analizzato il cellulare della vittima e vengono individuati in rubrica i suoi clienti abituali e gli amici. Il cellulare si trova spento e con la batteria scarica.

I magistrati decidono di riprendere in mano tutti i vecchi casi di prostitute uccise presenti in archivio, senza tralasciare niente. Eppure appare evidente che nella morte di Monica Abate esistono delle divergenze significative rispetto agli altri delitti:

  • Monica è stata uccisa all’interno del suo appartamento e non in un luogo differente dove le vittime sono state fatte salire in macchina. La Abate si prostituisce in via Vittorio Emanuele (500m dalla stazione dei treni, 2,8 km in macchina da via Rua Freda) e anche la sera del delitto ha lavorato fino alle 2 del mattino, così testimoniano alcune colleghe. Ha in disposizione anche un monolocale in via Emilia ovest (8,8 km da via Vittorio Emanuele e 7,1km da via Rua Freda) nel cui condominio lavorano altre prostitute, è li che riceve i clienti, l’appartamento in via Rua Freda è invece l’abitazione privata di Monica.

  • Lo Staging mal si confà al comportamento di un serial killer. Paragonandolo al comportamento dell’assassino nei precedenti delitti, si nota che non ha alcun interesse a nascondere il delitto perpetrato. C’è disinteresse verso i corpi che vengono abbandonati in fossi ai margini delle strade e in luoghi appartati e mal frequentati per assicurarsi di non essere visti. Invece il delitto di Monica viene nascosto e si cerca di depistare le indagini spacciando la morte come overdose.

Senza troppo generalizzare, questi ultimi due dati possono esserci d’aiuto per importanti deduzione sul responsabile del delitto di Monica Abate.
Per prima cosa è stata vista prostituirsi in via Vittorio Emanuele fino alle 2 della mattina, questo significa che l’orario è tardo e da via Vittorio Emanuele deve aver raggiunto sicuramente via Rua Freda. La distanza tra i due luoghi è di 2,8km, con tutta probabilità si è fatta accompagnare in macchina da qualcuno (non ci è dato sapere se la ragazza ha in disponibilità un’autovettura, ipotiziamo di no, dato che non ce n’è traccia nelle nostre fonti). E’ possibile sia stato direttamente l’assassino ad accompagnarla, la vede in strada ed è l’ultimo cliente e a quel punto decide di portarlo a casa propria e non dove solitamente li porta, anche la vicinanza deve aver giocato un ruolo importante. Comunque il comportamento della ragazza è assilimilabile anche a quello che si può tenere con una persona conosciuta, di cui ci si fida a tal punto da farlo entrare in casa propria, non un ultimo cliente quindi, più un amico, un protettore, un fidanzato. Chiunque fosse, conosce la tossicodipendenza di Monica, tanto che ha deciso di sfruttarla per nascondere il suo omicidio. Depistare le indagini, inquinare le prove, rallentare gli accertamenti, è il tipico comportamento che ha una persona conosciuta dalla Abate e che rischia di finire agli arresti facilmente. La ragazza è nuda, anche quello può essere un depistaggio? Possibile, ma l’aggressione è certamente avvenuta sul letto, quindi si presume anche in questo caso una certa confidenza tra vittima e aggressore.
In definitiva possiamo fare alcune affermazioni con un’approssimativa certezza:

  • L’assassino è un conoscente di Monica Abate, sa che è tossicodipendente, dove abita, è stato fatto entrare nell’appartamento dalla vittima, con tutta probabilità l’ha anche accompagnata a casa, l’ha fatto entrare in camera da letto e si è spogliata (non ci è dato sapere se c’è stata violenza sessuale, le nostre fonti non lo citano e noi ipotiziamo che gli unici segni di violenza subita dalla vittima siano state le ferite da difesa), ha avuto un rapporto sessuale con lui (consenziente a quanto pare), lo dimostra il ritrovamento di un profilattico usato.

  • Il soffocamento è avvenuto tenendo tappati alla vittima naso e bocca con le mani. E’ possibile che per operare una simile manovre ci voglia l’intervento di almeno due persone? Non possiamo esserne sicuri ma il dato di fatto che abbiamo, è che la vittima si è difesa e ha ferito il suo assassino, le tracce di sangue sul pianerottolo e il materiale organico sotto le unghie lo confermano.

Le indagini della Polizia si concentrano quindi su alcuni sospettati che hanno stretti legami con la Abate, finiscono indagate otto persone di cui una donna, tutti vengono sottoposti al test del Dna confrontandolo con i reperti organici ritrovati sulla scena del delitto.

Viene individuata una corrispondenza, il sangue sul pianerottolo fuori dall’appartamento di Monica è di Laura Bernardi, la sua convivente, che viene prontamente indagata per omicidio volontario in concorso con altre persone. Secondo la ricostruzione della procura, la Bernardi si è ferita nel mentre uccide la Abate assieme ad altre persone. Laura si trova già agli arresti per reati legati a sostanze stupefacenti (è tossicodipendente anche lei).
Effettivamente la presenza della coinquilina sulla scena del crimine spiegherebbe molte cose, eppure all’udienza preliminare del 18 novembre 1997 il giudice Francesco Maria Caruso assolve l’imputata con una sentenza che denuncia <<errori ed interferenze che hanno largamente compromesso l’indagine>> sostenendo che <<l’omicidio forse si sarebbe potuto risolvere e ancora potrebbe essere risolto a partire dai dati esistenti e dalla loro valorizzazione investigativa>>.

Un grave atto d’accusa nei confronti della Polizia, nasce quindi un altro filone di indagini che la sentenza di assoluzione alla Bernardi stimola ad approfondire.
Lo scenario prospettato è nuovo e inaspettato perché paventa la possibilità che un gruppo di poliziotti avrebbe avuto rapporti con le prostitute tossicodipendenti, sfruttandole, cedendo loro della droga in cambio di informazioni e prestazione sessuali. IL G.I.P. ha quindi restituito gli atti al Pubblico Ministero per proseguire sul filone delle indagini indicate.
Vengono individuati due agenti operativi alla centrale di Modena, nomi emersi nei primi interrogatori e presenti anche nella rubrica del cellulare della Abate. Uno degli indagati ha già problemi giudiziari, è finito in carcere militare per due mesi per sfruttamento della prostituzione, perché è stato sorpreso ad accompagnare Monica Abate e un’altra ragazza a prostituirsi e ogni tanto ad allungargli anche una dose a titolo gratuito. Oltre ai due poliziotti finiscono nei guai anche due piccoli spacciatori, Giovanni Nuzzo e Valentino Pinto, tirati in causa da alcuni drogati e dalla madre della Abate.

Si prospetta un quadro accusatorio che deve essere supportato dalle prove scientifiche ritrovate sulla scena del crimine, in particolare il test del DNA.
Non tutti intanto credono a questa pista, l’ex sostituto procuratore della Repubblica Alberto Pederiali, in servizio a Modena e poi trasferito a Trento, che per primo si è occupato delle indagini sul delitto di Monica Abate, ad un’intervista al Resto del Carlino, rispedisce al mittente le accuse del GIP Caruso e continua a puntare il dito nei confronti della Bernardi:

“nel corso dell’indagine l’abbiamo sentita sei o sette volte ed è sempre caduta in contraddizione. Per esempio solo alla fine raccontò di essersi bucata sul pianerottolo della casa di Monica Abate dove poi fu trovata la traccia del suo sangue”.

Per Pederiali fu fatto tutto ciò che c’era da fare:

“Sono stati approfonditi tutti i legami sospetti dei poliziotti (…). Sul loro presunto coinvolgimento nel delitto non è emerso nulla. I due agenti indagati inoltre hanno entrambi alibi per la notte dell’omicidio”.

I risultati del DNA confermano l’estraneità degli indagati, non si trovano sulla scena del delitto di Monica Abate. La pista dei “poiliziotti corrotti” si arena e lo slancio investigativo si perde. Il delitto di Monica Abate si va ad aggiungere ai casi irrisolti di delitti di prostitute modenesi.

Eppure al madre di Monica non si da per vinta, nell’aprile del 1998 rilascia un’intervista al Messaggero, dove lancia pesantissime accuse:

“Io non ci credo all’ipotesi di un serial killer modenese, però sono convinta che tutti e otto gli omicidi siano maturati nello stesso giro, un giro di poliziotti corrotti che fanno i soldi con la droga e la prostituzione”.

Secondo la Caselli alcuni poliziotti avrebbero:

“costretto Monica con angherie e persecuzioni ad accettare la loro protezione, in cambio di qualche dose di roba buona. Che lei si iniettava accuratamente sotto le unghie dei piedi per non deturparsi le braccia”.

Nella stessa intervista viene avanzato qualche dubbio anche sull’estraneità dell’amica di Monica, Laura:

“Mi aveva telefonato dicendo di essere rimasta senza chiavi, e che era sicura che Monica era in casa, però non apriva. Io ero andata di corsa, le avevo passato le chiavi dal finestrino mentre parcheggiavo l’auto. E non avevo ancora finito di parcheggiare che lei era già scesa, gridandomi di chiamare la polizia: possibile che avesse già fatto in tempo a salire tre piani a piedi, perché non c’era ascensore, aprire la porta e capire subito che c’era bisogno della polizia e non di un’ambulanza?”.

Un breve parere del criminologo Professor De Fazio

Nel 1998 il professor Francesco De Fazio, criminologo di fama internazionale e allora Direttore del Dipartimento di medicina legale del Policlinico di Modena, viene incaricato di uno studio comparativo basato sulle autopsie delle vittime per poter ricondurre i delitti ad un solito autore. In conclusione da un’intervista sulla Gazzetta di Modena dice:

"Quando si cerca un serial killer si devono trovare nei suoi delitti elementi comuni motivazionali. A Modena le ragazze erano tutte giovani, quasi tutte erano prostitute e drogate, ma non c'e' tipologia unitaria. Questo pero' non esclude che, potendo contare non solo su elementi tratti da autopsie, ma anche su altri elementi che non sono in mio possesso, si possano verificare elementi unificanti per alcuni degli otto delitti."

<<non sarebbe possibile delineare una “tipologia unitaria d’autore”, non bastando pertanto la tipologia pressoché unitaria delle vittime a configurare l’ipotesi di un unico autore, che tuttavia non può essere esclusa in assoluto”.

Un delitto dimenticato?

Come nelle classiche storie dei serial killer che si rispettano, anche per il mostro di Modena vi è un delitto che potrebbe essere attribuito alla serie omicidiaria, ma non con matematica certezza. Per trovarlo bisogna tornare indietro nel tempo e più precisamente al 15 novembre 1983, giorno del ritrovamento del corpo di Filomena Gnasso. Il cadavere viene rinvenuto nella zona dei macelli di Modena, il quartiere Sacca, trafitta da cinque coltellate. Non si sanno altri dettagli sul delitto, si sa solo che è una prostituta, ma che non risulta fosse tossicodipendente.
Nel caso fosse attribuibile alla serie di delitti, la Gnasso sarebbe la prima vittima del serial killer chiamato “Mostro di Modena”.

In conclusione

Esiste un serial killer a Modena che ha operato ininterrottamente dal 1985 (o ‘83) al 1995?

Il primo delitto sospetto è quello di Filomena Gnasso del 1983, per carenza di dettagli, anche se un po’ arbitrariamente, lo escludiamo dalla sequenza.
Altri casi da escludere potrebbero essere quelli di Annamaria Palermo, per le divergenze nei dettagli elencate nel paragrafo dedicato e per Monica Abate, per le numerose differenze con gli altri delitti.

Per il resto le altre prostitute uccise evidenziano numerosi aspetti in comune che fanno nascere un campanello d’allarme difficile da ignorare. E’ il caso di Donatella Guerra e Marina Balboni che si conoscono, uccise a una distanza di tempo ravvicinato, nei medesimi luoghi e frequentando le medesime compagnie. Ma anche l’utilizzo di indumenti per lo strangolamento, l’aggressione avvenuta da tergo, la sparizione delle borsette, l’utilizzo del pugnale, indicano elementi in comune di significativa importanza.

La tipologia unitaria delle vittime si contrappone ad una differenza di esecuzione, una vittima viene uccisa con un corpo contundente, tre accoltellate, cinque strangolate o soffocate. Eppure una certa linearità è travisabile:

  • Donatella Guerra 12 settembre 1987

  • Marina Balboni 1 novembre 1987

  • Claudia Santachiara 30 maggio 1989

  • Anna Abbruzzese 4 febbraio 1992

Per i dati in nostro possesso sono state uccise con modalità simili, troppo simili perché si tratti di una coincidenza a nostro parere.

Teniamo senza ombra di dubbio ben presente il parere opposto, che ogni caso sia slegato uno dall’altro, ma nonostante tutto è maturato all’interno dei soliti giri e nonostante la stampa puntasse l’attenzione su di un possibile mostro, gli ambienti investigativi non hanno mai preso in considerazione questa possibilità fino alla fine della serie. Lo dimostra l’indagine richiesta a De Fazio solo nel 1998. Le relazioni tra i delitti venivano ignorate e non approfondite adeguatamente, come se il sospetto della presenza di un serial killer imbarazzasse gli ambienti investigativi. Il quadro così delineato dalle indagini ha un enorme carenza investigativa difficilmente recuperabile oggi giorno. La carenza è quella di non aver preso in considerazioni le risultanze comuni e i collegamenti tra i vari delitti riconducendoli ad un unico comun denominatore, nei giorni successivi ai delitti quando ancora la pista è fresca.
Ad oggi per spiegare questi delitti, dove hanno fallito le indagini tradizionali, rimane in piedi solo la spiegazione di un serial killer che ha eletto a territorio di caccia la zona di prostituzione della stazione di Modena. Dove trova le sue vittime, giovani ragazze disponibili e soprattutto tossicodipendenti da eroina. Questa ripetizione nella ricerca di una certa tipologia di vittime, ci permette di ipotizzare la presenza di un serial killer appartenente ad una particolare categoria, inquadrata negli studi criminologici come “Mission serial killer”. Ce ne fornisce conferma anche lo studio sulla tipologia dei delitti perpetrati dai serial killer italiani, potendo accostare gli omicidi del Mostro di Modena a quelli delle categoria di Omicidi per pulizia morale.

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